Vetro - di Matteo Petrelli - Trailer e recensione
Poco dopo la mezzanotte avviene uno scontro tra due auto. Cinque le persone coinvolte. Da una parte Andres e Manuel: sano e salvo il primo, schiacciato dalle lamiere il secondo. Nell’altra macchina si sentono le urla di Giulia, ricercatrice che, lei pure incastrata nell’auto, è in preda alle doglie del parto: un bambino che (forse) verrà alla luce nel buio della notte. Sotto di lei il compagno di vita: morto.
Quattordici minuti di indagine visiva e sonora fanno di “Vetro”, di Matteo Petrelli (33 anni lo scorso agosto), un insieme di emozioni e tensione drammatica. Impossibile non notare che il corto è stato girato tutto d’un fiato, un lungo piano sequenza, con la videocamera che indaga sui feriti e sui volti, su Manuel unico sano e salvo ma incapace di decidere, che scruta sui cellulari sbalzati a terra, che entra ed esce dalle lamiere contorte.
È il buio, l’oscurità, ad avvolgere la scena, come buia è la mente annebbiata del protagonista nello scorrere del tempo. Buio che è indecisione a prendere in mano la propria vita e diventa ostacolo a prendersi cura delle vite degli altri, quelle che rischiano di andarsene, schiacciate dalla morte.
La co-protagonista è la paura, ampliata dal continuo indugiare di Manuel e dall’isterica e ansiosa ripetizione sonora dei due incidentati (ma anche nostra, interiore): “Fai qualcosa”. Il finale della storia sembra essere aperto a una piccola luce, come i fari delle auto, uniche luci nel buio della foresta. Una piccola speranza che la vita continua.
Maurizio Di Rienzo
Quattordici minuti di indagine visiva e sonora fanno di “Vetro”, di Matteo Petrelli (33 anni lo scorso agosto), un insieme di emozioni e tensione drammatica. Impossibile non notare che il corto è stato girato tutto d’un fiato, un lungo piano sequenza, con la videocamera che indaga sui feriti e sui volti, su Manuel unico sano e salvo ma incapace di decidere, che scruta sui cellulari sbalzati a terra, che entra ed esce dalle lamiere contorte.
È il buio, l’oscurità, ad avvolgere la scena, come buia è la mente annebbiata del protagonista nello scorrere del tempo. Buio che è indecisione a prendere in mano la propria vita e diventa ostacolo a prendersi cura delle vite degli altri, quelle che rischiano di andarsene, schiacciate dalla morte.
La co-protagonista è la paura, ampliata dal continuo indugiare di Manuel e dall’isterica e ansiosa ripetizione sonora dei due incidentati (ma anche nostra, interiore): “Fai qualcosa”. Il finale della storia sembra essere aperto a una piccola luce, come i fari delle auto, uniche luci nel buio della foresta. Una piccola speranza che la vita continua.
Maurizio Di Rienzo
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